Il progetto in South Africa di Pino Ninfa è nato per raccontare i luoghi delle periferie urbane insieme ai luoghi storici dell’apartheid, delle due grandi città del Sudafrica, Cape Town e Johannesburg e di Soweto, un tempo sobborgo, ma oggi una città a parte rispetto a Johannesburg. La ricerca di Ninfa vuole evidenziare il profondo senso di dignità e solidarietà nato nella difficoltà, senza spettacolarizzare le condizioni di disagio. Saranno presentate anche le fotografie provenienti da un workshop fotografico tenuto da Pino Ninfa a Città del Capo con i ragazzi che vivono nella township di Philippi in collaborazione con CESVI. Ad accompagnare la visione delle immagini sarà la musica di una formazione che conosce bene il lavoro di Pino Ninfa e che ha confezionato un vestito perfetto sulle sue immagini. Un trio dalla composizione atipica, come quello composto da Franco D’Andrea al pianoforte, insieme a Daniele D’Agaro ai clarinetti e a Mauro Ottolini al trombone, riuscirà a cogliere lo spirito del suggestivo percorso fotografico ideato da Pino Ninfa, sottolineandone di volta in volta le sfumature e le intenzioni, fornendo una struttura sonora alle immagini e creando un’evidente sinergia tra le due arti. Questo trio contiene in sé l’essenza del suono di una banda, dove gli strumenti caratteristici sono il clarinetto, in rappresentanza delle ance e il trombone, per gli ottoni.
Un trio atipico che vede D’Andrea al piano insieme a Daniele D’Agaro al clarinetto e Mauro Ottolini al trombone.La banda è stata il colore di riferimento del jazz tradizionale, che è la musica che mi ha affascinato ai miei esordi – dichiara Franco D’Andrea. La formazione degli “Hot Five” di Louis Armstrong comprendeva tromba, clarinetto, trombone, piano e batteria o banjo. Questa combinazione di strumenti, per me assolutamente magica, ha ancora molto da offrire anche alla musica jazz dei nostri tempi. Questo trio contiene in sé l’essenza del suono di una banda, nella quale strumenti caratteristici sono sicuramente il clarinetto, in rappresentanza delle ance, e il trombone, per gli ottoni. Il pianoforte in questo contesto può giocare una molteplicità di ruoli grazie alla sua tipica orchestralità. La musica si sviluppa tra riff, poliritmie, contrappunti improvvisati, astrazioni contemporanee e sonorità talvolta ispirate al “jungle style” ellingtoniano”. Una straordinaria panoramica sul suo pensiero musicale libero da manierismi di sorta e costantemente alla ricerca di un’espressività autentica e profonda. Musica di una caparbietà gentile, appuntita, magmatica, scattante e raffinata. Travolgente e coerente allo stesso tempo.
L’iridescente arte di Franco D’Andrea è un poliedro tendente alla sfera. L’oceanica immensità della sua costante ricerca di un linguaggio personale all’interno della tradizione jazzistica, trova in questa quasi un’ora di musica in piano solo una rappresentazione adamantina.Una straordinaria panoramica sul suo pensiero musicale libero da manierismi di sorta e costantemente alla ricerca di un’espressività autentica e profonda. Musica di una caparbietà gentile, appuntita, magmatica, scattante e raffinata. Travolgente e coerente allo stesso tempo. Mirabilmente in bilico tra Apollo e Dioniso. Intensamente personale, completamente jazz.
In un’epoca in cui nella maggior parte dei casi si maneggiano forme, estetica e arte con i guanti dell’anatomopatologo a proteggersi dalla formalina, Franco e la sua musica sono una delle luci più forti in una notte buia. Un faro da seguire per superare un mare scuro e viscoso in bonaccia.